Come ogni anno, dopo l’estate Coop presenta l’anteprima del “Rapporto Coop 2021 – economia, consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto di analisi di Nielsen e i contributi originali di Gfk, Gs1-Osservatorio Immagino, Iri Information Resources, Mediobanca Ufficio Studi, Npd, Crif, Tetra Pak Italia.
L’edizione 2021 del Rapporto è tutta orientata a descrivere la situazione della nuova realtà post Covid. Quello che fotografa è un Paese diviso tra l’entusiasmo per le imprese sportive estive e le ansie lasciate come strascico dalla pandemia. Anche il rapporto con il cibo è profondamente cambiato in questo anno e mezzo e il mondo del freddo deve tener conto di questi fenomeni, per cogliere le nuove opportunità offerte dal mercato.
Nascono nuove mode alimentari
Secondo il rapporto, infatti, solo il 18% dei connazionali non si riconosce in alcuna “cultura alimentare”: il 24% fa riferimento alla dieta mediterranea, ma oltre la metà degli italiani si riconosce anche o esclusivamente in altre identità alimentari (bio, veg, gourmet, iperproteici e low carbs).
La vera novità del 2021 è la comparsa della nuova tribù dei climatariani, ovvero di coloro (1 italiano su 6) che dichiarano di adeguare il proprio regime alimentare al ritmo delle stagioni per ridurre l’impatto ambientale. Questo concetto, se da un lato può essere pericoloso per l’industria del surgelato, può diventare un’efficace leva di marketing per chi riesce a comunicare la capacità del processo produttivo di preservare la qualità del fresco, lavorato nel momento in cui le sue caratteristiche sono le migliori.
In generale, l’ambiente diventa riferimento di molti italiani: l’88% associa al cibo il concetto di sostenibilità, che significa per il 33% avere un metodo di produzione rispettoso, per un altro 33% attenzione agli imballaggi, per il 21% è sinonimo di origine e filiera e per il 9% di responsabilità etica.
Così, il 13% sta riducendo il consumo di carne (i cosiddetti reducetariani), si preferiscono prodotti locali e di stagione, quelli veg sono consumati anche da chi cerca solo una alternativa proteica alla carne e raddoppiano le vendite di proposte vegane di nuova generazione. Gli italiani riconoscono nel riscaldamento climatico il principale fattore di cambiamento del cibo del futuro e il 32% immagina che per salvare il clima occorrerà cambiare la nostra alimentazione.
Un aiuto verrà dalla scienza e dalla tecnologia (per il 26% degli intervistati) e in questo senso tra le new entry sulle tavole degli italiani, da qui a 10 anni, ci sono cibi vegetali con il sapore di carne, a base di alghe, farina di insetti e anche la carne coltivata in vitro. In realtà la food revolution è già in corso. Gli investimenti nel solo 2020 in cibi e bevande di prossima generazione ammontano a 6,2 miliardi. L’industria del surgelato, che vede già una discreta produzione plant-based, può trovare in questo trend nuovi stimoli all’innovazione.
Si paga di più, per stare bene
Un altro grande driver di scelta, anch’esso potenziato dall’effetto pandemia, è sicuramente la ricerca di un maggior benessere attraverso il cibo. L’83% dei nostri connazionali si dichiara disposto a spendere di più pur di acquistare prodotti con qualità certificata.
Non cessa il successo di segmenti di mercato come il free-from, il rich-in e in questi ambiti è spesso il prodotto a marchio a rispondere meglio e con maggiore rapidità dei brand leader. Gli italiani prestano maggiore attenzione all’etichetta; così le indicazioni sull’origine e la provenienza del cibo sono determinanti per l’acquisto per il 39% degli italiani, per il 28% lo sono i valori nutrizionali e a seguire il metodo di produzione (per il 26%). Anche nel sottozero, etichette ricche di informazioni e di facile lettura possono aiutare a sostenere le vendite.
Nuovi spazi per i piccoli brand e la MDD
Gli italiani sembrano badare sempre più ai contenuti intrinseci dei prodotti e sempre meno al brand. Il fenomeno del progressivo declino della marca continua da tempo: dal 2013 ad oggi la perdita di quota delle grandi marche è pari a un -9% controbilanciato dalla Mdd (+9% nello stesso lasso di tempo) e anche dai piccoli produttori (+3%), evidentemente più rapidi nell’intercettare le nuove mutevoli esigenze dei consumatori. Si creano quindi spazi di crescita per numerose aziende del surgelato, che si sono conquistate un’ottima reputazione anche nel B2B e nella produzione conto terzi.
Venendo ai consumi, continua la crescita delle vendite alimentari nel retail, anche se non ai ritmi del 2020. Il Totale Food (vendite a valore, luglio-metà agosto 2021 vs luglio-metà agosto 2019) è di 9.577 milioni di euro (+3,4%). Gelati e surgelati crescono quasi il doppio rispetto alle media (+6%). Tra le 15 categorie che hanno registrato le performance migliori figurano i secondi piatti a base pesce e il pesce surgelato al naturale.
Un’altra tendenza che si è stabilizzata è quella dell’online: tra il 2020 e il 2021 (mese di riferimento, giugno) è cresciuto del 46%, contro il +123% del periodo precedente, per un totale di vendite di 1.968 milioni di euro. Il peso dell’online sul totale del Largo Consumo è del 2,2%. Rallenta anche la crescita del delivery, mercato che vale 1,4 miliardi di euro e che è cresciuto del 39% rispetto al 2020, contro il +197% vs 2019. Tra i piatti più amati i burger vegetariani e vegani, una referenza per cui il mondo del surgelato è in grado di offrire ai ristoratori ampia scelta.